LA BIOGRAFIA
Giovanni (che fu bisnonno di Lorenzo il Magnifico) nacque a Firenze nel 1360, da Averardo detto Bicci e da Iacopa di Francesco Spini. Rimasto orfano del padre nel 1363, fu posto con i fratelli sotto la tutela della madre e di altri. Collaborò poi con Vieri di Cambio nell’azienda di famiglia impegnata nell’attività bancaria su scala internazionale. Nel 1386 sposò Piccarda Bueri, detta Nannina († 1433) e con la dote di lei fu socio del banco romano di Vieri, rilevato nel 1393. Nel 1397 ne spostò a Firenze la sede ed ebbe associati i Bardi. Nel 1402 aprì filiali a Venezia e Napoli; prese inoltre in appalto la dogana di Gaeta e aprì due botteghe manifatturiere che furono affidate ai figli Cosimo (n. 1389) e Lorenzo (n. 1395).
Nello stesso periodo, iniziò la carriera politica, seguendo l’equilibrata posizione che era stata di Vieri di Cambio. Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402), partecipò a diverse missioni diplomatiche, tra le quali l’ambasceria del gennaio 1406 a Ladislao di Durazzo, impegnato nella guerra dinastica contro Luigi II d’Angiò, per evitare che si alleasse con Pisa in procinto di essere conquistata dai fiorentini.
Fu amico e finanziatore di Baldassarre Cossa, che nel 1410 fu l’antipapa Giovanni XXII con l’appoggio anche di Luigi II. Quando la fortuna del pontefice declinò, dopo il concilio di Costanza, lo sostenne e lo riscattò dalla prigionia (1415-1419).
Nel 1420 si ritirò dal mondo finanziario e favorì il nascere di una nuova compagnia, intestata ai figli Cosimo e Lorenzo. Ritornò anche alla politica cittadina ed ebbe diversi incarichi: fu anche uno dei Dieci di Balìa nella guerra contro Milano (1423) e ambasciatore a Bologna e a Venezia (1424).
Al servizio della Repubblica, non ostentò eccessive mire politiche costruendo un’ampia rete di relazioni che, al momento opportuno, costituirono la sua forza. Soprattutto trovò consenso nel popolo e nell’impegno di altri Medici per il fronte popolare. Negli ultimi anni di vita fu considerato uno dei cittadini più eminenti per ricchezza e reti finanziarie e politiche e ebbe la fama di uomo saggio. Nel 1422 Martino V lo nominò conte di Monteverde, titolo che rifiutò.
Morì il 20 febbraio 1429 lasciando, pare, un patrimonio di circa 180.000 fiorini (Notizie tratte e riportate in sunto dal Dizionario Biografico degli Italiani, P. Terenzi, 2016).
LA 'MEMORIA' E LE RACCOMANDAZIONI
Da una fonte non originale, la Memoria di Giovanni di Averardo si trova riportata in manoscritto inedito e di unica mano narrante le vicende e gli uomini illustri della casa Medici a partire dal trecento fino a Ferdinando granduca, e quindi databile circa al 1600.
Presenta nel testo un errore marchiano, dovuto di certo a distrazione: la data della morte di Giovanni è scritta al 1378, quando aveva si e no diciotto anni. Non riporta, ad eccezione di questa, altre date o fatti ed è in forma di esortazione ai figli Cosimo e Lorenzo – essendo questo il suo fine principale. Tali consigli dimostrano pienamente al lettore lo spirito popolare e di pietà di cui il Medici fu convintamente animato, la sua etica di gran lavoratore e l’affetto e la riconoscenza per l’aiuto datogli dalla moglie Piccarda-Nannina.
“Memoria di Giovanni d’Averardo detto Bicci de’ Medici alla sua morte l’anno 1378
L’anno 1378 Giovanni d’Averardo detto Bicci de’ Medici, amalandosi et conoscendosi lui che di quella infirmità haveva a morire, fece chiamare a sé Cosimo e Lorenzo sua figliuoli alla presenza della donna sua et delle donne loro e di molti cittadini sua parenti e benivoli esso, parlando loro in questa forma.
Dilettissimi figliuoli, né io né altri che nasce in questo mondo non debbe havere dolore del partimento dalle mondane sollecitudini per passare agl’eterni riposi. Io conosco che io m’apresso all’ultimo della mia vita et dove le timide femminelle et gli uomini vili se ne attristano, io ne piglio gran conforto, con ciò sia cosa che è per dispositione di natura e non di accidente, et quello per mia inconvenienti. Io considero e penso non essere commessi dove ne cagione il lungo tempo che io son vivuto, che ne ho hauto più che parte, dove io considero quanto lietamente e con palma di ulivo e di vittoria, io fo l’ultimo passamento della mortale all’imortale vita. Io vi lascio nelle infinite ricchezze le quali Iddio m’ha concedute et la vostra madre assai si è affaticata ad aiutarle et mantenerle.
Io vi lascio con un magno accucciamento quanto ne sia In Toscana e vi lascio la gratia et benevolenza di ogni buon cittadino et così con la moltitudine del popolo che sempre la nostra famiglia hanno quella eletta per loro tramontana. | Se voi non vi stranate da’ costumi de’ vostri antichi sempre il popolo vi sarà favorevole e donatore delle loro dignità.
Et perché questo altrimenti non avvenga, fate che voi siate a’ poveri misericordiosi con le vostre elemosine et agli abienti gratiosi et serventi, et nelle loro adversità massime nell’honesto, et mai non consigliate contro a la volontà del popolo; in fino se il popolo elegge cosa non utile, consigliovi e pregovi che voi non essercitiate il palagio in modo che paia che voi ne facciate bottega et consigliate con humanità in modo di ragionamento.
Et aspettate che il palagio vi chiami, allora siate solleciti et ubbidienti a quella Signoria et non vi insuperbite delle eccelse voci e honoranze, che abbiate gran risguardo di tenere il popolo in pace et dovitiosa la piazza et schifate di andare alle corti a ciò che la giustitia per voi non perisca. Impero che chi è cagione d’impedire la giustizia, perisce.
Io vi lascio netti di tutte le macule perché per me nessuna ne fu mai commessa et lasciovi here(di) di gloria et non di infamia.
Io mi parto lieto ma più lieto se io non vi lasciasse in setta [sic, forse insieme] et in parte.
Io vi raccomando la Nannina a me donna e a voi madre. Fate che la mia morte non gli tolga i suoi usitati honori e seggii. Et voi figliuoli fate che al mio passare voi preghiate Iddio per me et che esca con salute dell’anima mia | et voi figliuoli mia tenete la mia beneditione paterna.
Et tu Cosimo sia a Lorenzo benigno e tu Lorenzo sia a Cosimo ubbidiente come a padre, et finito il suo parlare stette poche ore che lui passò di questa misera et affannosa vita”.
Paola Ircani Menichini, 15 novembre 2024. Tutti i diritti riservati.
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